
di Luigi Pietroluongo
Scrive Wikipedia alla voce Integrazione: “ Nelle scienze sociali, il termine integrazione indica l’insieme di processi sociali e culturali che rendono l’individuo membro di una società. L’integrazione dipende anche dalla capacità di socializzazione di ogni individuo.”
Ed è questa parola, integrazione, talmente importante che, come accade in questi giorni, segnerà lo stile di vita di ciascuno di noi. I flussi migratori non rispondono più alle categorie della emergenza ma si sono strutturati. Significa, per capirci, che interi popoli con le loro culture sono in movimento ed arrivano a ripopolare, cosa impensabile prima di oggi, oltre le metropoli anche i paesi dell’entroterra italiani.
Ma l’integrazione non è un evento magico, non si realizza con le pozioni di qualche ciarlatano mago televisivo. E’, prima di ogni cosa, un sentimento popolare di disponibilità alla contaminazione di tutto il bello e il buono presente in questo nostro mondo. L’integrazione è la consapevolezza che ci sono strade nuove per soluzioni a problemi antichi. E’ occasione per non “accomodarci” nelle nostre poltrone dell’indifferenza ma spinta a partecipare, a metterci ognuno il suo. L’integrazione ci chiede, con forza, di mettere a frutto i nostri talenti.
Le scienze sociali, gli operatori sociali sono chiamati ad individuare e condividere quali sono le esperienze più riuscite ma soprattutto quali possono essere gli indicatori che facilitano questo processo. L’esperienza e le strade dell’integrazione, nelle Case Famiglia per minori stranieri, è in questo senso uno spaccato di vita significativo.
Sono convinto, infatti, che il processo dell’integrazione, in particolare dei minori stranieri, si realizza tutto su un delicato equilibrio.
Se da una parte occorrono strutture, necessitano soprattutto abilità educative, assistenziali, psicologiche, sanitarie eccellenti, non improvvisate e sempre in formazione permanente. Operatori sociali come “agenti di promozione” capaci di raccontare quanta ricchezza può esserci in chi arriva da un mondo diverso. Persone che siano consapevoli, che ancor prima del lavoro bisogna entrare in un tessuto sociale: fare parte delle associazioni di volontariato, sportive, culturali, partecipare alle loro attività diventarne protagonisti. Vivere lo sport per fare squadra (nel senso di appartenere ad una comunità) e non come trampolino per chissà quali successi economici. Pensare la cultura, il laboratorio di teatro come momenti in cui i giovani si conoscono, si confrontano, definiscono i loro talenti. Occorrono professionisti sociali che sappiano intercettare la governance della politica locale perché spieghino che parlare di immigrazione non è solo parlare di “cooperative” ma, con maggiore attenzione, delle persone che invece di essere viste come piene di risorse e di conoscenze importanti vengono solo ed esclusivamente catalogate come un problema. I professionisti devono quindi proporre un’azione di advocacy perché è compito anche e soprattutto della politica locale trovare le occasioni in cui questi nuovi amici possano farsi conoscere dalla comunità.
Se tutto questo deve essere presente in chi accoglie non può mancare la parte di chi è accolto. Non può mancare per diversi motivi. Ai nostri ospiti, prima di ogni cosa, dobbiamo chiedere di mettersi in gioco con un grande sforzo di volontà, caparbietà, resilienza rispetto ad uno dei viaggi (interiori) più complessi nella vita che è quello di lasciare le proprie abitudini ed entrare in una nuova cultura.
Non si tratta evidentemente solo di imparare le parole italiane, compito necessario, ma di capire come gli italiani usano le parole, come pensano, come parlano, come esprimono rabbia e amore, come costruiscono insieme, che idea hanno della famiglia, del lavoro. Si tratta di apprendere un alfabeto sociale, emotivo, culturale completamente diverso. E’ sottolineo che la parola italiana diverso non rende l’idea di come si stravolge il loro mondo. Entrano in una Terra di Mezzo dove incontrano adulti, le equipe educative, che si pongono con un alfabeto emozionale e relazionale diverso da quanto hanno fino ad ora vissuto.
Per ognuno di loro inizia un travaglio che consiste nella fase di riadattamento e che ognuno affronterà secondo le risorse personali che può mettere in gioco, ammesso che decida di essere protagonista di questo particolare periodo della sua vita.
Molti di questi ragazzi diventano quindi dei veri e propri esempi. Adolescenti in grado di affrontare difficoltà grandi con coraggio, dedizione, perseveranza. Ragazzi che vivono lo studio o il lavoro come una delle più grandi occasioni della vita, divorano i libri e mangiano con gli occhi gli artigiani. Adolescenti che dovrebbero frequentare i nostri adolescenti addormentati sulle loro “presunte” sicurezze.
Non è però sempre così.
Quando, invece, un ragazzo decide, per infiniti motivi, di non andare a scuola, di non frequentare la attività che la Casa Famiglia gli offre, di rifiutare il cibo italiano, di non curiosare con la musica italiana, di non partecipare alle attività sportive, di mantenere i contatti con la famiglia di origine ma di non averne con gli adulti italiani di riferimento con cui convive ogni giorno, noi Stato Italiano cosa dovremmo fare? Dovremmo continuare a concedere un parere positivo per il permesso di soggiorno di attesa occupazione? E i ragazzi che hanno rifiutato per intero una proposta educativa, oppure sono arrivati a pochi mesi dai diciotto anni, e quindi solo ed esclusivamente per i documenti, possono dirsi integrati?
Non credo. Entrano nel tessuto della società italiana degli alieni della “Terra di Mezzo”. Le stazioni delle città metropolitane italiane ne sono piene. Tutte le notti ospitano sui cartoni, come larve, giovanissimi perduti nella “Terra di Mezzo” .
Giovani che hanno deciso di non mettersi in gioco, che non ne hanno avuto il tempo perché arrivati a ridosso del diciottesimo anno.
Sono domande importanti che richiedono risposte a più livelli. Lo Stato Italiano sta discutendo una nuova legge ad hoc sui minori stranieri non accompagnati. Gli operatori sociali devono fare sistema per individuare le pratiche e gli indicatori di riferimento. E poi occorre soprattutto un grande lavoro di advocacy sulla politica ad ogni livello, professione ad oggi praticamente sconosciuta.
Ma alla fine di tutte queste parole resta, per tutti, sempre la stessa domanda: oggi cosa scelgo di costruire un ponte o un muro?
Dott. Luigi Pietroluongo
Coordinatore dei Gruppi Appartamenti per
Minori Stranieri non Accompagnati